*L’immagine è “Basquiat being “stopped-and-frisked” outside the Barbican Centre” di Banksy
Lo stress è una caratteristica inevitabile della vita organizzativa contemporanea. Se gestito bene, può diventare un potente motore di produttività, innovazione e cambiamento. Se invece è trascurato o amplificato, corrode il morale, produce disfunzioni e può lasciare segni psicologici duraturi. La maggior parte delle organizzazioni non ha ancora sviluppato approcci sistematici per gestire lo stress a livello di team.
Una ricerca pluriennale condotta dagli autori, basata su interviste, analisi di casi e un’indagine su oltre 150 leader senior in Europa, Asia-Pacifico, Medio Oriente e Stati Uniti, ha rivelato un dato cruciale: i leader, invece di ridurre la pressione, spesso finiscono per amplificarla. Invece di rafforzare la resilienza, intensificano le tensioni, minando la coesione e la performance.
Un caso emblematico è quello di una società di servizi professionali. Con l’arrivo di un nuovo direttore di unità, i piccoli stress quotidiani – scadenze, incombenze personali, politica interna – sono diventati ingestibili. Uno stile di leadership controllante e conflittuale ha eroso la fiducia, trasformando un contesto stabile in un ambiente tossico. L’assenteismo è aumentato, l’engagement è crollato, le riunioni si sono riempite di tensione. Nel giro di 18 mesi il 75% del team si era dimesso, molti dopo aver cercato supporto psicologico. Solo l’intervento del CEO, con la rimozione del direttore, ha permesso un reset.
Questo non è un caso isolato. Molti hanno incontrato leader simili, capaci di trasformare lo stress in trauma collettivo. La buona notizia è che la leadership può anche invertire questa dinamica: con l’approccio giusto, lo stress può diventare energia positiva per il team.
Troppo spesso i leader considerano lo stress un problema personale, da gestire in autonomia. Ma questa è una visione miope. L’engagement emotivo è la base per la creazione di valore nel lungo periodo: quando le persone sono emotivamente coinvolte, non si limitano a eseguire compiti, ma investono energia, creatività e passione.
Lo stress incide in maniera decisiva su questo equilibrio. Se ben gestito, può aumentare la concentrazione e rafforzare il legame con il lavoro. Se cronico o eccessivo, esaurisce le risorse emotive e logora la motivazione. La ricerca evidenzia tre fattori che ne determinano l’impatto:
- Intensità: quanto lo stress è percepito come grave, sia per pressioni lavorative che personali.
- Prospettiva: valori e obiettivi individuali influenzano se lo stress viene vissuto come stimolo o come peso insopportabile.
- Capacità: alcuni prosperano sotto pressione, altri soccombono. Personalità, esperienze e sistemi di supporto fanno la differenza.
Le persone funzionano al meglio quando operano nella “banda di alta funzionalità”, una zona intermedia di engagement in cui energia e concentrazione sono elevate ma non estreme.
In condizioni di stress acuto, però, molti passano a modalità di compensazione che corrispondono a due estremi:
- Attacco: ipercoinvolgimento, ossessione per la performance, tratti di perfezionismo e ipercompetitività. Questo porta a tensioni interpersonali, comunicazione aggressiva e crollo della coesione.
- Immobilizzazione: ritiro, silenzio, disconnessione dalle interazioni. Un meccanismo che riduce temporaneamente la pressione interna, ma che gli altri interpretano come apatia, isolando ulteriormente chi lo manifesta.
Entrambe le risposte, se croniche, possono degenerare in cicli negativi che distruggono fiducia e collaborazione. Il rischio è che la normalità dello stress si trasformi in trauma organizzativo, con conseguenze profonde su performance e benessere.
Lo stress temporaneo può essere gestito e corretto. Ma quando diventa cronico, si cristallizza in trauma. Le persone perdono fiducia, collaborazione e capacità di concentrazione. Nella maggior parte dei casi studiati, le radici di questi fenomeni portavano a leader disfunzionali che, consapevolmente o meno, intensificavano le pressioni. Gli effetti possono durare anni, sopravvivendo perfino al cambio di manager: le storie di leadership tossica continuano a circolare e a intaccare la cultura aziendale.
La ricerca identifica tre pratiche fondamentali che i leader possono adottare per trasformare lo stress da peso individuale a funzione collettiva del team.
1. Guardarsi allo specchio: i leader danno il tono.
Prima di supportare i team, i leader devono regolare sé stessi. Ignorare le proprie reazioni o replicare con controllo, aggressività o distacco peggiora la situazione. Consapevolezza, confini e abitudini di gestione dello stress sono prerequisiti. Attività come mindfulness, esercizio fisico, riflessione, così come il confronto con pari o coach, aiutano a prevenire il contagio dello stress.
2. Aiutare gli altri ad “allargare la banda”.
Non si possono eliminare tutte le fonti di pressione, ma si può aiutare il team a rimanere nella zona di alta funzionalità. Ciò significa rafforzare le capacità di coping attraverso il coaching, modellare la percezione dello stress con comunicazioni chiare eque e coerenti, e affrontare le fonti strutturali di pressione come scadenze irrealistiche o processi rigidi.
3. Dare priorità all’integrità emotiva e alla resilienza collettiva.
I leader non possono risolvere lo stress individuale, ma possono validarlo e creare un clima in cui le persone si sentano ascoltate e supportate anche dai pari. Microclimi di fiducia, empatia e mutuo sostegno sono la chiave per trasformare lo stress in legame. Esempi concreti mostrano come la semplice presenza empatica di un manager durante una crisi personale possa cementare la lealtà, o come un ascolto attento possa rinnovare la motivazione di un team.
Lo stress non deve corrodere la cultura: può forgiare resilienza e connessione. Con empatia, consapevolezza e leadership intenzionale, la pressione si trasforma in energia vitale, capace di portare i team oltre la semplice produttività verso un coinvolgimento profondo e duraturo.
**La presente sintesi è stata realizzata con l’IA e rivista dai consulenti PRIMATE.
***A lungo abbiamo adottato un linguaggio inclusivo, usando anche la vocale schwa (ə). Diversi lettori ci hanno però segnalato che questo rendeva gli articoli meno scorrevoli, perciò abbiamo scelto di tornare a una forma al maschile per favorire la lettura. PRIMATE resta profondamente sensibile ai temi di Diversity, Equity & Inclusion e continuerà a promuovere una cultura organizzativa rispettosa e inclusiva, in ogni sua forma.