La gerarchia basata sul command&control, struttura portante delle nostre organizzazioni, viene dal passato da mondi che non esistono più
La gerarchia basata sul command&control, struttura portante delle nostre organizzazioni, viene dal passato da mondi che non esistono più. Quando sono nate le aziende contava il prodotto, l’offerta guidava la domanda e il tasso di innovazione era bassissimo. La struttura gerarchica separava chi pensava, decideva, pianificava e controllava, da chi eseguiva. Il lavoro era uno strumento per sopravvivere: oggi invece ci aspettiamo che concorra anche alla nostra espressione e realizzazione, ci consenta di partecipare, contribuire e coltivare altri ambiti.
Proprio quello di cui aziende hanno bisogno: per tenere il passo con il mondo, servono persone che ad ogni livello dell’organizzazione mettano testa (pensiero), cuore (cura) ed energia, con le sfide aziendali che alimentano la crescita personale e professionale. Il cambiamento, quindi, è epocale. Ma, nonostante le continue innovazioni tecnologiche e organizzative operate dalle aziende, la logica che sottende la gerarchia è rimasta intatta: comandare e controllare dall’alto ci sembra ancora ovvio. E’ ovvio per chi sta sopra dire a chi sta sotto cosa deve fare, è ovvio per chi sta sotto aspettare dall’alto gli input per agire.
Non che ricevere input dall’alto sia in sé sbagliato, anzi, i capi dovrebbero farlo meglio. Ma pensare che comandare dall’alto oggi basti, è un’illusione. Nel nostro mondo, infatti, “i giochi” si fanno continuamente a tutti i livelli dell’organizzazione. E molto dei risultati si determina “in basso”: nei negozi, nelle filiali, nei call center, durante le visite commerciali, nelle unità produttive. Ed è proprio lì, dove la domanda e l’offerta si incontrano (o no), che la gerarchia prevede la minore autonomia possibile e investe meno sulle persone. A dispetto di tutti i progetti di change management, delle riorganizzazioni e dei programmi di leadership, la gerarchia è il mindset che continua a cablare le nostre organizzazioni. Ed è la fonte di molte inefficienze: silos e lentezza strutturale nella percezione di opportunità / criticità e nelle risposte; perdita di energia e di motivazione; paura di esporsi verso chi sta in alto per proporre, chiedere, esprimere un parere; la scarsa ideazione; eccesso contemporaneo di apatia e di ansia…
Anche la metodologia kaisen (per coinvolgere e responsabilizzare gli operatori nel miglioramento continuo), l’approccio lean(per semplificare i processi) e l’agile (per alimentare l’adattamento continuo) hanno portato tanti strumenti ma non hanno scalfitto l’essenza della gerarchia: il potere decisionale (e molto altro) aumenta salendo, il contatto con i clienti e le attività che costruiscono prodotti e servizi aumentano scendendo. Ma mettere mano alla gerarchia… ci fa tremare i polsi. E come darci torto? Noi alla gerarchia attribuiamo da sempre il presidio dell’efficienza e della stabilità, in sintesi, della governabilità. Per questo siamo disposti a cambiare tutto ma la logica gerarchica non la tocchiamo.
E allora? Dobbiamo rassegnarci e tenercela così com’è, sapendo che tanti problemi non si risolveranno mai perché sono strutturali? Oppure dobbiamo superare la gerarchia abbracciando i cosiddetti “modelli bossless”, adottati da alcune aziende nel mondo, che dicono di aver abolito i capi? Io credo che la domanda “gerarchia sì o gerarchia no?” sia mal posta, e sia figlia di due convinzioni limitanti. La prima ci fa contrapporre gerarchia e caos, o l’una o l’altro: e con questo out/out l’esito è scontato perché il caos non ci piace. La seconda convinzione ci porta a pensare che esista un’unica gerarchia, quella che conosciamo. Invece esistono moltissime gerarchie, noi umani ne creiamo continuamente: gerarchie di informazioni, di azioni, di valori, di relazioni, di competenze…
Perché la gerarchia è una delle strutture che crea ordine, e l’ordine ci consente di governare i pensieri, le relazioni e le azioni. Quindi, la gerarchia è ovunque perché è una struttura della nostra mente, dei nostri rapporti, delle nostre azioni. Imparare a riconoscere le gerarchie è essenziale. Perché la gerarchia può essere una struttura auto referenziale e difensiva, oppure una risorsa che supporta l’evoluzione. Ma come distinguere le gerarchie conservative da quelle evolutive, e come coltivarle? Questo tema sarà cruciale nei prossimi anni.
*Autrice di “Non morire di gerarchia” (Franco Angeli)