*L’immagine è “Duello Aereo” di Tullio Crali, 1929
Il talento da solo non basta. Anche quando una persona possiede capacità straordinarie, non c’è alcuna garanzia che queste si traducano in performance elevate. La scienza del potenziale umano ci ricorda che, oltre alle competenze, è necessario considerare aspetti come la personalità, le inclinazioni e le emozioni. In altre parole, esiste sempre una differenza tra ciò che una persona può fare e ciò che fa normalmente.
Questa discrepanza è alla base di molti errori nei processi di selezione: ci si concentra troppo sul “potenziale massimo” e troppo poco sulla performance tipica, quella che si manifesterà davvero nel tempo. Proprio come una relazione non si può giudicare dal primo appuntamento, anche il comportamento iniziale di un candidato può essere molto diverso da quello che esprimerà dopo cinque anni nell’organizzazione.
Se ti sembra di non rendere al massimo nel tuo lavoro, probabilmente hai ragione. Poche persone sono davvero motivate e coinvolte al 100% per lunghi periodi. Anche chi pensa di dare il meglio di sé spesso si sovrastima o si sottovaluta: l’autoconsapevolezza è un elemento chiave del talento. Le persone davvero performanti tendono a valutarsi in modo critico, mentre chi ha risultati scarsi spesso crede di avere un impatto molto positivo. E dopo circa sei mesi, finito il cosiddetto “periodo di luna di miele”, la motivazione tende fisiologicamente a calare.
Vediamo quindi quattro cause principali di sottoperformance e come affrontarle:
- Scarsa compatibilità con il ruolo o l’organizzazione
Il talento è, in gran parte, la personalità nel contesto giusto. Questo è il principio del “person-job fit”, ovvero la coerenza tra le caratteristiche di una persona e quelle del ruolo, dell’organizzazione e della cultura in cui si trova. Il problema? Le aziende, anche quando sanno valutare bene i candidati, spesso non sono altrettanto brave a valutare sé stesse. Molte si raccontano come più inclusive, innovative o etiche di quanto siano realmente. Di conseguenza, il candidato può trovarsi in un contesto molto diverso da quello che immaginava.
Come agire? È fondamentale informarsi in modo approfondito prima di accettare un’offerta: porre domande dettagliate, parlare con persone che già lavorano lì, confrontarsi con chi occupa ruoli simili. Strumenti come Glassdoor possono aiutare, pur con i loro limiti. Cercare somiglianze con i top performer interni può essere un buon indicatore di compatibilità. Naturalmente, essere “diversi” può rappresentare un valore — pensiamo alla diversità cognitiva — ma per adattarsi e performare, spesso aiuta riconoscersi almeno in parte nella cultura aziendale.
- Disingaggio
Uno dei principali effetti del mismatch è la perdita di coinvolgimento, ma ci sono anche molte altre cause. Una delle più ricorrenti è una leadership inadeguata. Come sostiene l’autore nel suo libro Why Do So Many Incompetent Men Become Leaders?, una cattiva gestione spiega non solo la sottoperformance, ma anche l’alto turnover di persone talentuose.
Non è semplice risolvere il problema: non possiamo sostituire il nostro capo con uno più ispirante, capace di darci feedback utili e motivarci ogni mattina. Ma possiamo agire su alcune leve. Per esempio, dedicarsi ad attività che stimolano la curiosità e l’apprendimento aumenta il senso di significato. Curare le relazioni con i colleghi aiuta a ritrovare motivazione. E, se possibile, comunicare al proprio capo il proprio disingaggio può fare la differenza: a volte non si accorgono del problema, e possono essere pronti ad agire se riconoscono il nostro valore.
- Politiche organizzative
Nonostante i progressi verso luoghi di lavoro più equi e meritocratici, la politica interna è ancora una realtà. Molte aziende si raccontano come meritocratiche, ma anche i talenti migliori devono imparare a orientarsi tra dinamiche opache e favoritismi. È per questo che una parte consistente del coaching si concentra proprio sulle “soft skills” e la capacità di muoversi in ambienti complessi.
La verità è che quanto più tossica è la cultura, tanto più fioriscono comportamenti parassitari, come avviene nei sistemi biologici contaminati. Non sorprende allora vedere individui arrivare in alto pur senza particolari competenze. La consapevolezza politica, pur senza cinismo, è essenziale. Illudersi che il talento parli da sé è pericoloso: spesso più si è bravi, più si suscitano resistenze.
Se la situazione diventa ingestibile, può essere opportuno cambiare area o organizzazione. Tutte le aziende hanno una dose di politica interna, ma in alcune è molto più contenuta.
- Circostanze personali
Può sembrare banale, ma vale la pena ribadirlo: la vita personale influenza profondamente la performance lavorativa. In un mondo sempre connesso, dove i confini tra vita e lavoro sono sfumati, è facile dimenticarlo. Anche le persone più talentuose e coinvolte possono attraversare momenti difficili. È per questo che si parla tanto di work-life balance.
Un buon capo deve voler comprendere le nostre circostanze. Non per invadere la sfera privata, ma perché è nell’interesse dell’organizzazione supportarci nei momenti complessi: una persona che si sente aiutata sarà più motivata, riconoscente e coinvolta.
In conclusione, il talento è una condizione necessaria ma non sufficiente. Serve attenzione al contesto, alla cultura, al ruolo e alle dinamiche sociali. Solo in questo modo si può creare un ambiente che permetta alle persone di esprimere davvero il loro potenziale.
Clicca qui per leggere l’articolo completo di Tomas Chamorro-Premuzic sulla Harvard Business Review
**La presente sintesi è stata realizzata con l’IA e rivista dai consulenti PRIMATE.
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