*L’immagine è “Composizione di Frutta” di Tullio Crali, 1948
Nonostante le numerose previsioni sul declino del middle management, il numero di middle-manager negli Stati Uniti è aumentato: dal 9,2% nel 1983 al 13% nel 2022. Tuttavia, segnali recenti mostrano una nuova pressione su questo ruolo: secondo Gartner, entro il 2026 il 20% delle organizzazioni utilizzerà l’intelligenza artificiale per appiattire le strutture organizzative, eliminando oltre la metà delle posizioni di middle management. Anche un report Korn Ferry evidenzia che il 44% dei professionisti statunitensi ha visto una riduzione dei ruoli manageriali nella propria azienda. Inoltre, i middle-manager mostrano alti livelli di burnout e un calo significativo nell’engagement, secondo Gallup.
In uno scenario così complesso, il middle-manager resta una figura centrale nella capacità delle organizzazioni di adattarsi ai cambiamenti. Le ricerche di Raffaella Sadun e Jorge Tamayo della Harvard Business School indicano che i middle-manager svolgono due funzioni cruciali: collegare la leadership ai clienti e supportare la trasformazione delle competenze interne. Sono essenziali nel raccogliere segnali dai clienti e nel tradurli in informazioni strategiche per il vertice, soprattutto in momenti di incertezza. Inoltre, agiscono come coach e facilitatori, aiutando i collaboratori ad acquisire nuove competenze e adattarsi alle trasformazioni indotte dalla tecnologia. In un contesto in cui l’intelligenza artificiale automatizza sempre più attività, i middle-manager restano fondamentali nel valorizzare il capitale umano.
Tuttavia, per rimanere rilevanti, devono evolversi. Il loro ruolo sta passando dal controllo alla facilitazione, dalla supervisione alla costruzione di capacità. Devono diventare agenti del cambiamento, ma molte organizzazioni non li mettono nelle condizioni di farlo. Spesso sono ancora impegnati in compiti amministrativi che potrebbero essere automatizzati, perdendo così la possibilità di influenzare strategia, motivazione e innovazione. Senza formazione adeguata, sia sulle competenze trasversali sia su quelle tecniche, non possono affrontare la crescente complessità del loro ruolo.
Oltre alla formazione, anche le modalità con cui vengono selezionati e valutati i middle-manager sono inadeguate. La promozione basata sulle performance individuali, senza considerare la capacità di coordinare e motivare, porta a scelte inefficaci. Se le organizzazioni non iniziano a premiare coaching, mentoring e collaborazione trasversale, perderanno il potenziale trasformativo di questo livello gestionale.
Anche Zahira Jaser, docente alla University of Sussex, sottolinea come i middle-manager siano diventati attori chiave nella trasformazione digitale. Secondo la sua ricerca su 34 milioni di annunci di lavoro, il ruolo si è già evoluto: più collaborazione, meno supervisione. Le competenze richieste includono empatia, ascolto attivo e intelligenza emotiva. Nello studio condotto in uno stabilimento produttivo italiano, Jaser mostra come i middle-manager abbiano facilitato la trasformazione digitale non solo dall’alto verso il basso, ma anche dal basso verso l’alto, mediando tra esigenze della direzione e preoccupazioni delle persone. Hanno aiutato a ridurre la percezione di sorveglianza derivante dalla tecnologia, scelto di non utilizzare ogni dato disponibile per valutare le performance individuali e tradotto la voce delle persone in strategia.
Inoltre, i middle-manager hanno avuto un impatto anche a livello trasversale: le loro pratiche innovative sono state adottate da altri reparti, innescando un cambiamento culturale. Questo dimostra che il middle-manager del futuro dovrà essere un facilitatore sofisticato, capace di navigare tra tecnologia e umanità.
Diane Gherson, ex CHRO di IBM, porta una prospettiva più pragmatica. Storicamente, i middle-manager sono stati spesso visti come ostacoli: lenti, burocratici, resistenti al cambiamento. Molte aziende tecnologiche (Amazon, Meta, Salesforce) hanno avviato piani di riduzione di questo livello per aumentare l’agilità. Tuttavia, la tecnologia ha già disintermediato molte funzioni: le comunicazioni con l’azienda avvengono direttamente tra CEO e persone, strumenti come Slack e Jira facilitano la collaborazione orizzontale e l’IA automatizza compiti amministrativi. Ma questo non significa che il ruolo del middle-manager sia superato.
Secondo Gherson, il vero valore dei middle-manager sta nella loro capacità di tradurre la strategia in azione, di allineare le persone agli obiettivi aziendali, di mediare e riassegnare priorità in un contesto instabile. Le aziende che hanno eliminato completamente il middle management, come Zappos o GitHub, hanno sperimentato caos, disorientamento e difficoltà di coordinamento, arrivando infine a reinserire forme di leadership intermedia. Lo stesso vale per aziende che hanno ridotto drasticamente questo livello senza modificare le modalità di lavoro: l’esito è stato spesso burnout, silos e inefficienze.
Gherson conclude che i middle-manager sono necessari, ma in numero ragionevole. Occorre evitare il “middle-manager creep”, ovvero la tendenza ad aggiungere strati inutili, e adottare metriche rigorose sul rapporto tra manager e team. Inoltre, bisogna evitare che i middle-manager siano premiati solo per il rispetto delle regole, senza condivisione degli obiettivi aziendali.
In definitiva, il futuro del middle management non è segnato dall’estinzione, ma dalla trasformazione. Il middle-manager del futuro sarà meno supervisore e più facilitatore, meno burocrate e più coach, meno esecutore e più leader adattivo. Le aziende che sapranno riconoscere e coltivare questo cambiamento avranno un vantaggio competitivo decisivo.
**La presente sintesi è stata realizzata con l’IA e rivista dai consulenti PRIMATE.
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