*L’immagine è “Stop Sign” di Banksy
La metà delle persone è al limite, e sta costando alle aziende 438 miliardi di dollari in produttività perduta.
Il “quiet cracking” è il nuovo fenomeno che sta invadendo i luoghi di lavoro. Mentre l’Intelligenza Artificiale incombe sui posti e sulle carriere e le promozioni si bloccano, la salute mentale dei lavoratori si sta lentamente sgretolando. Per i capi, questo ha significato una perdita globale di produttività di 438 miliardi di dollari solo nell’ultimo anno. Ma non tutto è perduto: secondo un’esperta di carriera intervistata da Fortune, ci sono modi per invertire la rotta – sia per i manager che per i collaboratori.
Sempre più persone si sentono demoralizzate per la mancanza di opportunità di crescita professionale e per uffici sempre più vuoti, mentre le aziende tagliano personale per far spazio all’IA. Il tutto sotto una pressione crescente a “fare di più con meno risorse”.
In un mercato del lavoro incerto, molti hanno paura di esporsi o di lamentarsi, temendo ritorsioni o licenziamenti. Così, le persone si stanno disconnettendo in silenzio, mentalmente e emotivamente: benvenuti nell’era del “quiet cracking”.
Questo nuovo fenomeno non implica smettere di lavorare apertamente o fare solo lo stretto necessario (come nel “quiet quitting”), ma piuttosto continuare a essere presenti fisicamente, pur sentendosi esausti e svuotati. Secondo un rapporto del 2025 di TalentLMS, il 54% dei dipendenti dichiara di sentirsi infelice sul lavoro, con una frequenza che varia da “ogni tanto” a “costantemente”.
“I segnali del quiet cracking sono molto simili a quelli del burnout”, spiega Martin Poduška, caporedattore e career writer di Kickresume. “Potresti notare una perdita di motivazione, di entusiasmo, un senso di inutilità o irritabilità. Tutti indicatori comuni che tendono a peggiorare nel tempo”.
A differenza del “quiet quitting”, questa perdita di produttività non è intenzionale. È il risultato di sentirsi logorati, sottovalutati o non riconosciuti dai propri datori di lavoro. Come nel burnout, molti non si rendono conto di cosa stia accadendo fino a quando è troppo tardi. E poiché in un mercato del lavoro incerto ci si sente impossibilitati a lasciare il proprio posto, molti restano intrappolati in un ruolo che li rende infelici.
I manager non se ne accorgono (o non abbastanza presto)
Un esercito di persone infelici dovrebbe essere facile da individuare. Eppure, il fenomeno si insinua nelle organizzazioni quasi inosservato.
Nel 2024, la percentuale di persone coinvolte e motivati a livello globale è scesa dal 23% al 21%, una flessione paragonabile a quella dei lockdown pandemici. Secondo un report 2025 di Gallup, ciò ha costo all’economia mondiale circa 438 miliardi di dollari in produttività perduta.
Il quiet cracking non danneggia solo il morale: mina anche la cultura aziendale e la competitività. Per questo è fondamentale che i leader intervengano ora, sviluppando strategie di engagement prima che la situazione degeneri in una “bomba a orologeria”.
Come spiega Poduška, “Il quiet cracking non è facile da riconoscere. Potresti essere già in una fase di rottura silenziosa, ma non accorgertene: questo tipo di burnout richiede tempo per manifestarsi, sia per te che per chi ti circonda”.
Come i capi possono intervenire prima che sia troppo tardi
La situazione può sembrare scoraggiante, ma esistono azioni concrete per intercettare le crepe nella cultura aziendale prima che diventino voragini. “Se noti che un collaboratore è sempre meno coinvolto, la cosa migliore è programmare un momento di confronto”, suggerisce Poduška. “Assegnargli nuovi compiti, offrirgli opportunità di apprendimento o semplicemente avere una conversazione sincera può rimettere le cose in carreggiata”.
Il ruolo del capo è cruciale. Tra i dipendenti che vivono il quiet cracking, il 47% afferma che i propri manager non ascoltano le loro preoccupazioni, secondo TalentLMS. Tuttavia, basta aprire un dialogo autentico per far tornare le persone a sentirsi parte di un progetto.
Oltre alla conversazione, i manager dovrebbero mostrare interesse reale per lo sviluppo professionale dei propri collaboratori. La formazione è un segnale di fiducia: il 62% di chi non soffre di quiet cracking riceve formazione sul lavoro, contro il 44% di chi ne sperimenta frequentemente i sintomi. “Quando la formazione è prioritaria”, si legge nel rapporto TalentLMS, “lancia un messaggio di cura, investimento e fiducia nel potenziale delle persone. Alimenta la motivazione, costruisce competenza e crea una cultura in cui le persone vogliono contribuire — e restare. La formazione non è solo sviluppo di competenze: è un antidoto alla disconnessione, un catalizzatore di connessione”.
Come i collaboratori possono combattere la propria disconnessione
Non spetta solo ai leader risolvere il problema: anche i collaboratori possono agire per contrastare il quiet cracking. “Per evitarlo, bisogna partire dalla causa del proprio malessere”, spiega Poduška. “Se pensi di non avere possibilità di crescita, parlane con il tuo manager. Discutere di un piano di sviluppo può darti un obiettivo e riaccendere la motivazione.”
Ma non tutte le aziende sono disposte a investire sulle persone, anche quando queste lo chiedono. In quei casi, Poduška invita a mettere in discussione il contesto stesso: il lavoro è sostenibile? Ti senti supportato dal tuo team? Se la risposta è no, potrebbe essere il momento di cercare un nuovo datore di lavoro — o addirittura di cambiare carriera.
“Un altro modo per fermare il quiet cracking è cambiare qualcosa”, aggiunge Poduška. “Chiediti se il ruolo che hai è davvero quello giusto per te. A volte serve una svolta totale, altre basta un passaggio di dipartimento o un progetto nuovo che riaccenda la curiosità. In ogni caso, serve aria nuova.”
In definitiva, il “quiet cracking” è un campanello d’allarme: non solo per la salute mentale individuale, ma per la tenuta stessa della cultura aziendale. Le organizzazioni che lo ignorano rischiano di perdere talento, energia e innovazione. Quelle che lo affrontano, invece, possono trasformarlo in una leva per evolvere: ascoltare di più, formare meglio e creare spazi in cui le persone vogliano ancora dire “sì” — non per obbligo, ma per convinzione.
Clicca qui per leggere l’articolo di Emma Burleigh e Orianna Rosa Royle su Fortune.com
**Il presente articolo è stato tradotto integralmente da un consulente PRIMATE.
***A lungo abbiamo adottato un linguaggio inclusivo, usando anche la vocale schwa (ə). Diversi lettori ci hanno però segnalato che questo rendeva gli articoli meno scorrevoli, perciò abbiamo scelto di tornare a una forma al maschile per favorire la lettura. PRIMATE resta profondamente sensibile ai temi di Diversity, Equity & Inclusion e continuerà a promuovere una cultura organizzativa rispettosa e inclusiva, in ogni sua forma.