Marina Capizzi > Di quale appartenenza abbiamo bisogno?

L’Impresa Online, Gruppo24ore, 30 gennaio 2014.

Sono tante le implicazioni dell’appartenenza. Per i nobili contava quella d’origine e bastava per garantire e giustificare molti privilegi senza necessariamente aver fatto qualcosa: è l’appartenenza come provenienza, dove il “far parte di” si trasforma subito in “possesso”. Per gli ultras è l’affermazione di un’identità che serve soprattutto per sentirsi più forti contro qualcuno. Gli adolescenti si guardano le scarpe, si riconoscono dai pantaloni strappati, e questo li fa sentire “insieme” e diversi da altri. I beni di consumo posizionano nell’affresco sociale aggregando poliedriche appartenenze. I valori disegnano confini tracciati per star dentro ma anche per tenere fuori.

Non c’è dubbio che l’appartenenza risponda a molteplici bisogni. Ma salta all’occhio la portata energetica che sta nell’aggregarsi. L’appartenenza è un’energia pregiata e, per questo, non possiamo non interrogarci in merito al suo scopo.

Di quale appartenenza abbiamo bisogno?
Nell’articolo precedente (La bravura degli altri) ci siamo chiesti se la concezione della bravura come prodotto collettivo possa qualificare in modo nuovo il significato della parola “appartenenza”. Ebbene, riteniamo che sia proprio così. Se l’appartenenza si costruisce attorno ad uno scopo comune e viene alimentata con la bravura, diventa contributo a un sistema più ampio attraverso l’uso delle capacità di tutti. Qualcosa che serve a me ma, intanto, costruisce qualcosa di più grande.
E viene in mente che l’appartenenza così intesa te la puoi giocare su più livelli.
Quando, ad esempio, ti sintonizzi su uno scopo comune. Se lo fai i tuoi comportamenti cambiano. Sembra niente, e invece è tutto. Perché tutto parte dalla testa. E lo vediamo quando la raccolta differenziata funziona, quando un ristorante rafforza con la sua offerta di qualità l’immagine del Paese. E via così. Che siano cose grandi o piccole, ti trovi a costruire un’idea di società nella quale riconoscerti e di cui sei effettivamente parte. Vale per il volontariato, per la squadra sportiva, per lo sviluppo dell’azienda nella quale lavori, per la scuola. E così via.
Puoi anche giocartela come co-design attivo di progetti comuni, questa appartenenza. Le aziende che dialogano con i clienti per disegnare nuovi prodotti, l’imprenditore che si mette insieme ad altri per acquisire più forza nei nuovi mercati. E così via.
Comunque la giri, vale l’uso delle capacità e il libero accesso alla bravura reciproca.
Soprattutto in questo mondo che sta cambiando. E che ha bisogno di essere costruito. Se non c’è contributo a qualcosa di più grande, non c’è appartenenza.

Si può obiettare che l’appartenenza è più una materia di interessi, e che gli interessi personali il più delle volte confliggono con l’interesse generale. Ma è proprio così?
Ne parleremo nel prossimo articolo.