Samuel West, psicologo organizzativo, ha passato anni cercando di aiutare le aziende a creare una cultura di innovazione e sperimentazione. Il problema, dice, è che le persone sono felici di pensare alla strada che porta al successo ma mai alle possibili ragioni del fallimento. Paradossalmente, questo modo di pensare ostacola la buona riuscita di molte iniziative. Per questo, nel 2017, Samuel West ha aperto il “Museum of Failure” per far parlare più apertamente del fallimento. Un luogo dove le innovazioni aziendali fallite sono in mostra, per riflettere e discutere. “Per imparare dal fallimento abbiamo bisogno di parlarne. Il museo è un buon modo per incentivare questa discussione”, dice West. 

Ma che cosa ha imparato il Dr West sul fallimento mettendo insieme questa collezione?

  1. Vedere i progetti falliti di altre persone fa sentire le persone più coraggiose nel provare le cose. “Dopo aver visto la mostra la gente mi dice sempre che, ‘se queste grandi aziende possono fallire, allora anch’io posso correre dei rischi'”, dice West. 
  2. È difficile cogliere un filo conduttore nei fallimenti. Per parafrasare Tolstoj: ogni innovazione di successo è simile, ma ogni innovazione fallita, fallisce a modo suo. Se c’è un filo rosso, comunque, spesso sono i prodotti troppo pubblicizzati. Le aziende fanno di tutto per pubblicizzare i prodotti, ma se poi non sono all’altezza delle aspettative, il pubblico non avrà pietà. 
  3. Un altro tipo di fallimento comune è il “progetto preferito dell’amministratore delegato”. Un buon esempio di questo fu l’Amstrad E-m@iler, lanciato nel 2000 dall’imprenditore britannico Sir Alan Sugar. Sir Alan era una leggenda della tecnologia, avendo avuto successo con il suo PC Amstrad negli anni ’80. Ma l’E-m@iler, un telefono fisso che offriva un accesso online limitato e connettività e-mail, era già obsoleto quando fu lanciato. Eppure, nessuno ha osato metterlo in discussione, ad esempio facendo rilevare come difficilmente qualcuno avrebbe pagato Amstrad per inviare e-mail con tariffe al minuto quando si poteva andare online gratis. 
  4. Cercare di schivare il fallimento “con stile”, di solito non funziona. Prendete il caso di “Olestra” della Procter and Gamble negli anni ’90. Era un sostituto senza calorie dei grassi che doveva permettere di mangiare le patatine fritte senza mettere su peso. L’unico piccolo inconveniente era che causava dissenteria. Procter and Gamble inizialmente cercò di appianare il problema ridimensionando il malessere come semplici “perdite anali”, trasformato il prodotto da fallimento a barzelletta, attirando l’ilarità della satira.
  5. Le aziende sono pessime nel fallimento perché non sanno riconoscerlo. Persino le start up, che credono nel mantra “fail fast” (“fallisci presto”, per imparare presto), in realtà non imparano da esso. Continuano semplicemente ad andare avanti ad un ritmo veloce. Invece, quello che dovrebbero fare è fallire “consapevolmente”, cioè considerare gli errori fatti e imparare da essi, piuttosto che nasconderli sotto il tappeto in fretta e furia.
  6. È molto difficile creare una cultura che accetti il fallimento. E qui West riprende il concetto di sicurezza psicologica posto in evidenza dagli studi della professoressa Amy Edmondson. Per facilitare un’accettazione del fallimento occorre cioè che si crei un ambiente in cui sia ok per i leader e i collaboratori suggerire idee stupide, fare domande scomode e mostrare di non sapere. Purtroppo, i senior manager sono ancora molto riluttanti ad applicare questa pratica, e in generale le indicazioni pratiche per sviluppare questo tipo di ambiente sono ancora poche. 

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