L’idea che l’arte possa influenzare positivamente il nostro cervello ha accompagnato per anni insegnanti ed educatori/educatrici, ma solo negli ultimi due decenni la tecnologia ha reso possibile misurare il suo reale impatto sulla struttura cerebrale.
Già nel 2010, era stato dimostrato che i e le musicist* professionist* hanno una maggiore plasticità dell’ippocampo, l’area del cervello dedicata alla memorizzazione e al recupero delle informazioni.
Quest’anno, Ivy Ross, vicepresidente della progettazione hardware di Google, e Susan Magsamen, direttrice dell’International Arts and Mind Lab presso la Johns Hopkins University School of Medicine, hanno scritto il best seller “Your Brain on Art: How the Arts Transform Us”; nel libro viene descritto il cambiamento dei circuiti neurali in risposta ad attività artistiche – come imparare una nuova canzone o passo di danza, o interpretare un personaggio sul palco – e si riportano dati sui benefici a lungo termine di queste modifiche. I bambini e le bambine che suonano uno strumento, per esempio, hanno una corteccia cerebrale più sviluppata e studenti e studentesse che hanno accesso all’educazione artistica hanno cinque volte meno probabilità di abbandonare gli studi e quattro volte più probabilità di ottenere buoni risultati scolastici.
Sebbene la ricerca descriva con chiarezza l’impatto positivo delle arti sullo sviluppo del nostro cervello, le materie artistiche stanno ricevendo una considerazione sempre minore nei programmi scolastici: in quest’ambito, il focus sulla produttività potrebbe farci perdere un grande valore.