SEGRETA > Sicurezza psicologica e lavoro diffuso ai tempi del COVID-19

In un momento storico in cui i modelli di riferimento sul mondo cambiano di ora in ora, la capacità di apprendimento dei gruppi fa la differenza tra adattamento e paralisi. La situazione attuale, caratterizzata dalle restrizioni imposte per limitare la diffusione del COVID-19 è una minaccia per la sicurezza psicologica di tutti. Non sappiamo cosa aspettarci e come comportarci, ma in questo esperimento forzato di lavoro diffuso, alcuni team se la caveranno meglio di altri, grazie ad un elemento in particolare: la sicurezza psicologica. La tentazione di considerare questa nuova, profonda fonte di ansia come una perdita di sicurezza psicologica nei team è forte. Amy Edmondson della Harvard Business School ha affermato: “Le persone probabilmente non riusciranno a prendere in considerazione il fatto che una paura condivisa è una paura meno potente, e la paura che abbiamo del virus – di cui ci sentiamo liberi di parlare – non è la stessa paura che possiamo provare in una situazione di mancanza di sicurezza psicologica sul lavoro”. Il fatto di sentirsi tutti nella stessa situazione è un sentimento che caratterizza i team con un alto livello di apprendimento e, non per coincidenza, di sicurezza psicologica. Questa pandemia è sicuramente un modo stressante di adottare nuovi comportamenti, ma Edmondson spera che attraverso questi tentativi potremo imparare a essere più diretti ed espliciti nelle relazioni lavorative”. Edmondson ha identificato tre tipi di azioni che i leader possono intraprendere per costruire il giusto senso di sicurezza psicologica nel proprio team:

  1. Preparare il campo: se il tuo team ha un obiettivo audace o si trova di fronte a molte incertezze, tutti sanno, razionalmente, che verranno commessi degli errori e le cose non andranno sempre secondo i piani. Ma emotivamente, la maggior parte delle persone ha un mindset che limita la loro volontà di correre rischi e di tollerare i fallimenti di cui è costellata la strada per il successo. Quando i leader mettono le basi per un intervento, ricordando alle persone dei momenti di incertezza che li aspetta, aiutano gli individui a sentirsi più liberi di parlare delle proprie idee più stravaganti e dei loro fallimenti. Normalizzare le insicurezze rende più semplice per tutti parlarne apertamente. 
  2. Invitare a partecipare: “invitare le persone a partecipare implica letteralmente l’atto di porre loro domande”, dice Edmondson. “Chiedendo ‘Cosa ne pensi? Qual è il tuo punto di vista? Cosa ci sta sfuggendo? Mi sembri pensieroso, cos’hai in mente?’ un collega o un leader non può far altro che rispondere”. Una volta definito il perimetro di sicurezza psicologica del tuo team, puoi passare al livello successivo e fare spazio per la dimensione individuale. Il suo libro più recente, The Fearless Organizations, Edmondson traduce la vasta ricerca scientifica sul tema della sicurezza in storie e consigli pratici tratti dal mondo contemporaneo. La maggior parte di noi inizialmente oppone resistenza all’assorbimento di nuove informazioni che modificano i nostri schemi del mondo, ma il potere dei comportamenti di apprendimento in team ci dimostra che imparare qualcosa insieme può essere molto più semplice rispetto a imparare da soli. 
  3. Rispondere in modo produttivo: “Quando i leader mettono qualcuno in difficoltà ponendo una domanda diretta, sono poi obbligati a rispondere in modo produttivo”, spiega Edmondson. Anche un cenno con la testa può rappresentare una risposta da apprezzare e l’elemento di risposta produttiva più semplice è l’offerta di aiuto. Si può pensare a un team come un sistema di relazioni e interazioni tra le persone, e la valenza cumulativa di queste interazioni è ciò che determina la sicurezza psicologica del gruppo. Ecco perché ogni membro del team può contribuire a costruire la sicurezza psicologica ponendo, ad esempio, domande diretta, anche se le azioni del CEO hanno chiaramente una leva più importante.

“Cosa posso fare per sentirmi più sicuro psicologicamente?” si chiede Edmondson. Quando sfidiamo le voci controproducenti nella nostra testa, ci rendiamo conto di come usiamo il linguaggio per presentare le nostre idee alle altre persone.  Per un verso, il distanziamento sociale imposto dalla pandemia ci potrebbe rendere più suscettibili ai pensieri che vengono stimolati dalle dinamiche sociali inusuali con i nostri colleghi. Dall’altro lato, ci dà anche più spazio per essere attenti alla nostra comunicazione sul lavoro, che è completamente mediata da schermi e messaggi di testo e richiede tolleranza verso un certo livello di fraintendimenti.

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